Riflessioni sull’esito elettorale

Com’è successo che la vittoria di Stefano Parisi che, dopo la sorprendente rimonta sul favoritissimo Sala e un primo turno finito al “fotofinish”, si sentiva nell’aria, sia sfuggita al centrodestra in una piovigginosa domenica primaverile?

Come mai, per dirla con i crepuscolari, “ciò che poteva essere non è stato”?

Tre mesi di tempo sono lo stretto necessario per poter ragionare sull’esito delle Elezioni Comunali di Milano dello scorso Giugno con la dovuta prospettiva. Sarebbe sin troppo facile volere individuare (come in diversi hanno fatto) un preciso colpevole puntando il dito su Matteo Salvini.

E’ noto, infatti, che il “capitano”, per il ballottaggio, avesse dato disposizione di “tirare i remi in barca”. E, nelle due settimane che precedevano il redde rationem,  la Lega si è, di fatto, disimpegnata.

Del resto, nella riunione convocata da Parisi all’indomani del primo turno per “prepararsi allo scatto finale”, tra tutti i big della coalizione  presenti all’incontro, brillava per la sua assenza, proprio Salvini . Difficile pensare a un caso.

Ma se, veramente, il calcolo salviniano era quello di “scongiurare” una vittoria che avrebbe certificato una posizione gregaria del suo partito sia in termini numerici (si aspettava di superare F.I. e ne è stata doppiata) che di influenza politica (con l’affermarsi della proposta “moderata”  di Parisi), avrebbe fato male i conti con il “noto adagio”.

Quello per cui se perdi sotto la Madonnina, prima o poi perdi dappertutto.

Ovvio, però, che, anche volendola assumere  per vera, la questione non si esaurisce nella scelta “strategica” del segretario Leghista.

Determinante, forse. Ma anche no.

Diversi altri fattori sono andati a convergere. Dall’una e dall’altra parte.

Per quanto riguarda il centro destra bisogna, innanzitutto, dire che la “foto di famiglia” (non per nulla utilizzata massicciamente dalla propaganda pro Sala) appariva alquanto ingiallita.

Parisi ha portato una ventata di freschezza e di novità. Ma dietro a lui eravamo in pieno “back to the past”.  Sembrava la “rivincita” sulla partita di cinque anni prima. Cinque anni in cui è cambiato tutto. Inevitabile che un certo sentore di stantio facesse da zavorra al vento fresco parisiano.

E, poi, l’assenza di organizzazione.

Che si ricollega alla vera e propria disarticolazione dei partiti a sostegno (tranne la lega). Che, di fatto, non hanno più strutture organizzative. Per dirne una, Forza Italia, a Milano, ha a malapena una sede. Ridottasi a un appartamentino in una zona semiperiferica. Senza dipendenti.  Con sparutissimi volontari.

Certo i singoli candidati si sono dati molto da fare. Hanno messo in piedi comitati elettorali possenti, che si sono dimostrati dinamici ed efficaci.

E, infatti, le preferenze sono fioccate per quelli di prima fascia. Ma al ballottaggio questa spinta è venuta, inevitabilmente, meno. Lì ci voleva un partito. Che non c’era più. E che, peraltro, sino al 5 giugno, era abbastanza rassegnato ad attestarsi dietro la lega (tant’è che nelle trattative preelettorali le aveva riconosciuto la candidatura alla presidenza di ben quattro zone su nove).

Per non parlare dello stato comatoso che lo caratterizzava prima dell’apparizione di Stefano Parisi.  Il 20% era un risultato che nemmeno nel più ardito dei sogni proibiti.

E Forza Italia, va detto, lo deve solo ed unicamente a Parisi. E al fatto che l’elettorato di un tempo ha riconosciuto in lui il nuovo “front man” di un partito che aveva perso la voglia di votare. Questo anche perché la lista civica che ne recava il nome, non era stata minimamente pubblicizzata. Ha “corso” pressoché in incognito. Pochissimi l’hanno identificata nella “lista del Sindaco”. Del resto il timore che potesse drenare voti a Forza Italia era stato il tema su cui era ruotata tutta la fase degli accordi di coalizione (con il tormentone dell’utilizzo del nome “Parisi” che, addirittura, era stato inizialmente negato… proprio alla sua lista).

Una lista civica più strutturata e promossa con maggiore convinzione (e con maggiori mezzi), avrebbe contribuito ad attrarre più voti, anche all’esterno del bacino di Forza Italia? Non lo sapremo mai. Ma quella era l’idea iniziale. Poi è andata diversamente.

L’altro fronte, al contrario, ha dato prova di un’organizzazione di assoluta eccellenza.

Il PD, in questo senso, ha dimostrato cosa vuol dire poter contare su una vera struttura di partito.

La mobilitazione generale seguita allo shock del 5 Giugno è stata esemplare.

Tutte le risorse disponibili sono state messe alla frusta. L’esatto contrario che dall’altra parte della barricata. Dove, un po’ la stanchezza per lo sforzo del primo turno (combattuto, per molti versi, quasi “a mani nude”), un po’ la convinzione erronea di aver sferrato il colpo del k.o. (Sala è “barcollato” sul ring per due giorni, poi si è ripreso), hanno diffuso un generale allentamento della tensione.

Come, per l’appunto, se si fosse già vinto. Errore, questo si, imperdonabile…

Poi tutti i calcoli sulle divisioni che il nome di Sala (un Papa straniero, di marca renziana, e con un ingombrante passato di braccio destro di letizia Moratti) avrebbe prodotto nella sinistra-sinistra, si sono rivelati fallaci. Anche in questo caso, la prova di unità è stata superiore a quella delle controparti. Mentre Salvini si disimpegnava, Basilio Rizzo, incredibile dictu, stringeva un patto. E lo manteneva. E pure l’accordo con i Radicali (con troppa superficialità preso in scarsa, se non nulla, considerazione dall’altra parte) è stata un’ottima mossa, nel segno di un ricompattamento generale.

Infine lo stato d’animo della città. Che si è rivelato molto più abulico di quanto anche la scelta di votare la sola domenica e a Giugno inoltrato, potesse far temere. I milanesi, infatti, avevano storicamente dimostrato una propensione al voto amministrativo, superiore che in altre grandi città. E, invece, più della metà degli elettori si è disinteressata alla scelta del proprio Sindaco.

Un elemento che merita, però, delle riflessioni a parte.

Insomma, è andata così. Ma non è stata un’intrapresa inutile. E di questo avremo modo di parlare..