Origini e cause del putinismo italiano.

A Putin va sicuramente riconosciuto un pregio.
Quello di non essere un ipocrita.
Falsificatore della storia a suo uso e consumo, si. Ma non ipocrita.
E il suo pensiero, negli ultimi anni, l’ha espresso sempre molto chiaramente e senza infingimenti.
Ed è stato estremamente chiaro nel dichiarare la sua avversione al modello della “democrazia liberale” indicandola, peraltro, come versante in una crisi morale irreversibile.
Il che significa avversione per la democrazia tout court posto che o una democrazia è liberale o, semplicemente, non è.
E ad essa contrappone il suo modello. 
Che è un modello autoritario ancorché con il risibile belletto di elezioni fintamente libere.
Che voto libero può esserci se incarceri gli oppositori, comprimi la libertà di pensiero con norme penali adattabili a un infinito ventaglio di situazioni, dichiari illegali i partiti avversi, controlli i mezzi di comunicazione, perseguiti o uccidi i pochi giornalisti liberi, eserciti un asfissiante controllo poliziesco su tutti gli aspetti della vita civile, modifichi la costituzione a tuo piacimento per garantirti decenni di regno?
Ora, a leggere certi tifosi italici del neozar di tutte le Russie, pare che il modello putiniano trovi significative sacche di accoliti qui da noi.
Che, per sostenere le buone ragioni del loro beniamino, arrivano a paragonare l’estensione della NATO ad est con la collocazione dei missili sovietici nella Cuba di Castro.
Una cazzata sesquipedale.
Come se il satellite di una forza imperiale apertamente ostile agli USA fosse paragonabile a una coalizione di natura difensiva formata tutta da paesi democratici che non risulta abbiano né l’intenzione, né l’interesse, né la possibilità materiale di muovere guerra alla Russia.
Si dovrebbe, quindi, concludere che un pezzo non irrilevante di italiani preferirebbe vivere nel modello putiniano anziché nel nostro, ossia quello che gli consente (diversamente che ai Russi) di esprimere liberamente le proprie opinioni (compresa questa) senza dover temere di essere incarcerato per sobillazione al terrorismo, alla sovversione ecc.
Oltre che garantirgli un’aspettativa di vita che è di dieci anni superiore a quella del popolo russo che, secondo la vulgata loro cara, godrebbe di una prosperità mai vista grazie alle cure di Zio Vlad.
Il perché di un disprezzo tanto  autolesionistico della democrazia occidentale affonda le radici nell’irrazionale oltre che nella superficialità di una visione da beauty contest della politica internazionale (ma anche in quella nazionale non scherziamo..).
Al netto di certe paturnie da precipitato storico come l’antiamericanismo (“e però il Viet Nam, e il Sudamerica, e l’Afganistan…”), le predicazioni sovraniste degli ultimi anni (che vedevano i propri numi tutelari in Trump e Putin) hanno alimentato con gran vigore l’irrazionale disprezzo per il metodo democratico, accusato di essere inerte, ambiguo, fiacco, compromissorio e antinazionale. Sventolando, per converso, il mito dell’uomo forte, che decide, che disintermedia la rappresentanza e si rivolge direttamente al “popolo”, che sa reprimere il crimine, che non si perde in inutili superfetazioni su diritti e prerogative,  che sa difendere i suoi confini dalle orde avanzanti di “clandestini”.
Il campione assoluto, in tal senso, resta Salvini.
Che avrebbe scambiato “due Mattarella per un mezzo Putin” e che si trovava più a suo agio sotto le mura del Cremlino (con maglietta da groupie adorante) che non a Bruxelles o nella Roma (ex) ladrona.
Ma anche i cinquescemi hanno ampiamente dato del loro. Con Dibba che partecipava plaudente alle convention di “Russia unita”.
Di Maio che si affannava ad ottenere “commende” ed altre onorificenze civili per oligarchi oggi in black list.
E, infine, Conte che faceva scorrazzare per tutto il territorio italico battaglioni dell’armata rossa giunti per portare non si è mai capito quale supporto a contrasto dell’emergenza pandemica.   
Le due forze populiste, insomma, hanno alacremente lavorato “per il re di Prussia”.
Probabilmente con qualche tornaconto e non solo politico.
Sicuramente utilizzate con cinica scaltrezza  da personaggi infinitamente più attrezati di loro (e verrebbe da dire che non ci vuole granchè).
Altrettanto sicuramente  seguendo un vento che spirava impetuoso salvo interrompersi con l’arrivo del Covid.
Che ha spazzato via Trump. Ma quella, per l’appunto, è una democrazia.
Mentre Putin è rimasto assiso sul trono.
E si vuole che il biennio pandemico, aumentandone il dorato isolamento, abbia slatentizzato il delirio solipsistico di passare alla storia come il rigeneratore della grande Russia.
Fatto sta che i veleni fatti circolare negli anni della sbornia populistico/sovranista sono rimasti in circolo.
Com’è rimasto in circolo, per i vedovi di Donald, l’odio viscerale per lo spodestatore.
Ma non  è che una causa contingente del fenomeno.
Che, probabilmente, attinge a sorgenti più profonde.
E che hanno a che fare con una sorta di diffuso e sotterraneo  fastidio per un sistema democratico che, nella sua farraginosità, mostra segni di inefficienza a rispondere a nuovi (e gravi) problemi e a nuovi (e pressanti) bisogni, ingenerando frustrazione, sfiducia e diffidenza (“non vogliono farvelo sapere…”). Basterebbe porsi il problema se l’alternativa sia effettivamente più efficiente (e non lo è) e, comunque, quale sia il costo che comporterebbe per le abitudini di vita di un occidente che dà talmente per scontate le sue libertà  da non riuscire più a riconoscerne il valore.     

  

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