L’inspiegabile riluttanza a fare il Sindaco di Milano.

Intervistona del corriere al Sindaco di Milano.
Il tema centrale, ovviamente, è la paventata chiusura totale della città.
E il primo cittadino, devo dire, fornisce risposte piuttosto equilibrate.
Anche se, pure lui, naviga a vista.
Ma la cosa significativa, e non poco stravagante, è il persistere dell’incertezza circa il ricandidarsi o meno per il secondo mandato.
L’intervistatrice insiste sul punto. Ma niente.
Anzi, quando gli viene addirittura evocato il “senso di responsabilità”, si stizzisce; non sono cose che interessano ai Milanesi, abbiamo un’emergenza da affrontare!

Secondo me sbaglia.

Proprio perché siamo in una fase di emergenza (peraltro mai vista prima) non credo che i milanesi siano indifferenti rispetto all’avere un timoniere alla guida che è indeciso se rinnovare l’ingaggio o passare la barra ad altri.
In ogni caso trovo incomprensibile questa riluttanza al secondo mandato inaugurata, cinque anni fa, da Giuliano Pisapia.
Dagli anni settanta e fino ad allora, tutti i Sindaci avevano tentato il bis.
Era andata male solo a tre; Borghini, Formentini e Moratti.
I primi due senza arrivare al ballottaggio.
La terza, ahimè (che ero un suo assessore), sconfitta nel girone di ritorno.
Gli altri erano tutti approdati al secondo mandato.
Del resto l’azione amministrativa di un Sindaco ben difficilmente può esprimersi nella sua compiutezza nei soli primi cinque anni (che, fino al 2001, erano quattro).
Ci vuole un respiro più ampio per lasciare veramente il segno.
E, infatti, la sindacatura Pisapia, a parte la sorridente bonomia del diretto interessato, non si può dire che abbia consegnato particolari ricordi.
Peraltro aveva avuto la fortuna di campare di rendita sul raccolto di quanto seminato dai predecessori (interventi urbanistici, expo e la stessa area C, la cui infrastruttura era stata realizzata dalla Moratti per il suo “ecopass”).
Da dove derivi la recalcitranza che, oggi, viene replicata (ancorché in chiave amletica) da Beppe Sala resta un assoluto mistero.
Per ragioni familiari, prima, e, poi, politiche ho ampiamente frequentato i Sindaci che si sono succeduti fino al 2011.
La prima volta che entrai nel mitico ufficio del primo cittadino ero un bambino intorno ai sette anni.
A regnare era Aldo Aniasi. Un caro amico di famiglia.  
Così come Tognoli che andai a trovare più volte a Palazzo Marino (una volta ricevendo in regalo la pettorina numero 1 della Stramilano, che poi non corsi).

Conosco, pertanto, perfettamente di cos’è fatto “il lavoro del Sindaco”.

Che non è molto cambiato nel corso degli anni.
Anche se i Sindaci della Seconda Repubblica hanno potuto giovarsi di due fattori fondamentali.
L’elezione diretta che ha attribuito al loro mandato una stabilità che i predecessori (eletti dal Consiglio Comunale e sottoposti a mille intemperie politiche) si sognavano.
E l’incompatibilità tra il ruolo di assessore e quello di consigliere (che ha dato al Sindaco potere di vita e di morte sui componenti della giunta che, invece, prima erano in grado di farlo “ballare” sui carboni ardenti se avevano le paturnie).

Due fattori, dunque, che hanno significativamente semplificato la vita ai “primi cittadini”.
Vita, comunque, rimasta fitta di impegni, di responsabilità, di grane quotidiane.

Ma anche di un prestigio immenso.


Personalmente ritengo che quello di Sindaco di Milano sia il ruolo più bello cui possa ambire chi fa politica.
Molto ma molto più appassionante e prestigioso di qualsiasi ministero.
Anche di prima fascia.
In più c’è l’amore con cui i milanesi hanno sempre gratificato i loro Sindaci. Che è una immarcescibile tradizione ambrosiana.
Certo la paga è quella che è. Non arriva a 150.000 € annui.
Meno di molti dirigenti dello stesso comune.
E dovendo gestire responsabilità enormi, mettendoci, come si suol dire, la faccia.
Ma, aggiungo io, si tratta di un incarico con un valore intrinseco tale che non starei a farne questione di denari.


Eppure, da cinque anni a questa parte, fare il Sindaco a Milano pare sia diventata un peso tremendo.


Fonte solo di stress, stanchezza e tensioni. Che azzera brutalmente vacanze e week end lunghi.
Né Pisapia né Sala hanno mai dato l’impressione di essere davvero felici nel loro ruolo.
Di divertirsi. Di godersi l’affetto dei cittadini.
Sui loro volti è stato più facile leggere, per l’appunto, stress, tensione e stanchezza. Gioia mai.
Un fenomeno cui è difficile trovare spiegazioni.
Quella più intuitiva sarebbe che non si tratta di politici veri.
Ma di benestanti professionisti prestati alla politica (più Sala di Pisapia, che, comunque, aveva esperienza di parlamentare e sottosegretario).
Ma la stesso dovrebbe valere per Albertini e Moratti (anche in questo caso più per il primo, che era un neofita assoluto, che per la seconda, che invece era stata ministro).
I quali non hanno mai dato l’idea che pesasse loro guidare la città.
La questione resta, pertanto, aperta. In attesa che il buon Beppe sciolga la riserva.

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