I 25 di Forza Italia, cosa ne resta e cosa ne sarà.

Sabato 26 gennaio Forza Italia ha festeggiato il suo 25° compleanno.
Il fatidico quarto di secolo è stato, dunque, traguardato da quella che fu la più incredibile e travolgente novità politica della storia repubblicana. Inevitabile chiedersi cosa ne resta.
Non tanto sotto il profilo dimensionale. Lì il conto è presto fatto.
Più o meno un terzo di quello che era il saldo elettorale medio fino al 2011.
Quanto, invece, sotto quello valoriale.
Si, perché nonostante la caricatura del partito/azienda esclusivamente funzionale agli interessi del suo padrone con cui per un ventennio si è cercato di esorcizzarne il successo, Forza Italia è stata a lungo portatrice di un impianto di valori e, financo, idealità autentici.
Non fu propaganda travestita da partito, come sono, oggi, le due forze che guidano il governo.
Si trattava, come noto, di un mix di elettorati messi insieme, con geniale intuizione, dal cavaliere. E, dunque, anche un mix di culture e di visioni ovvero, per l’appunto, di quelli che si sogliono definire valori.
Che trovarono un loro amalgama in parte grazie al balsamo del carisma straripante del leader maximo.
Ma anche perché, in qualche modo, già “pasturato” negli anni della prima repubblica dalla decennale stagione pentapartitica. Per un democristiano, un liberale, un socialista, un repubblicano e un socialdemocratico non era, poi, così difficile stare insieme.
Ci erano già stati a lungo, sia pure da alleati. Le rispettive identità, nel salvifico contenitore manifestatosi nel 94, non trovarono particolari punti di frizione. Seppero conservare unità nella settennale “traversata nel deserto” che seguì la prima, e fulminea, esperienza di governo.
Poi il successo e il potere (entrambi enormi) che baciarono il partito negli anni 2000, costituirono un formidabile fluidificante.
Un identità forzista poté, dunque, crescere ma, pur sempre, in un quadro federativo di diverse identità.
Nel 2007 arriva il PDL e il nuovo “amalgama” riesce meno bene. Ma non estenderei, ora, l’analisi a questo. Restiamo concentrati su FI.

Possiamo dire che i punti che registravano una condivisione trasversale ed unanime fossero; il garantismo (F.I. è pur sempre figlia dello strame del diritto prodotto da mani pulite), il liberalismo economico (nei fatti, poi, mediocremente perseguito dagli scranni governativi), il solidarismo (in cui si saldava la matrice cattolica e quella socialista) e l’atlantismo.

L’elettore forzista, al netto degli opportunismi e delle infatuazioni per la seduttività berlusconiana, vedeva rappresentati,fondamentalmente, questi valori. E, in nome di questi, metteva la croce sul simbolo tricolore.
Alla domanda, dunque, cosa ne resta nell’attuale esangue creatura, ha, per così dire, dato una risposta il giorno immediatamente successivo al compleanno.
E’ la domenica in cui una parlamentare forzista di lunghissimo corso e già detentrice di importanti incarichi di governo, Stefania Prestigiacomo, decide di arrembare, insieme a due colleghi di ben diversa parrocchia, la nave Sea Watch in rada Siracusa con il suo carico dolente di ostaggi “di Stato”.
Lo stesso giorno in cui, alle contumelie salviniane circa non si capisce quali “violazioni di legge” commesse dai tre deputati, risponde, con piglio, un’altra importante forzista, Mara Carfagna.
Lo stesso giorno, ancora, in cui il coordinatore nazionale Tajani si sente in dovere di rimarcare la natura “personale” dell’iniziativa della Prestigiacomo (“anche se…” ecc. ecc.).
Lo stesso giorno, infine, in cui il governatore della Liguria (già “consigliere politico” di Berlusconi su imperiale investitura del medesimo) stigmatizza “l’arrembaggio” siracusano come contrario a quella che dovrebbe essere la linea del partito, fondata sul rapporto essenziale con il capitano e, quindi, anche sul sostegno alla sua politica intransigente in tema di migrazione.
A seguirlo diverse figure minori, già astri nascenti di una costellazione berlusconiana, purtroppo per loro, offuscatasi prima di poterli far brillare come desideravano.
Sullo sfondo il mormorio “social” della sedicente base “eh ma così, mettendoci di traverso a Salvini, ci riduciamo allo zero virgola..”. In questo siparietto domenicale c’è tutta la metafora di quel che resta di Forza Italia.

Ed è una metafora alquanto deprimente.

Se la persistenza di antichi afflati nel personale politico del partito (lodevolmente incarnati in Prestigiacomo, Carfagna e Miccichè) dà un certo conforto, la goffa e piccata derubricazione a “iniziativa personale” dovuta al “cuore di mamma”, da parte del vertice, fa letteralmente cascare le braccia, non volendo evocare organi più nobili.
Quanto al “progetto” Totiano di una FI “ascara fedele” della lega, non si comprende perché non, allora, una confluenza punto e chiuso.
Che senso ha trasformarla in uno sbiadito succedaneo cui, verosimilmente, verrebbe preferito l’originale?
Per di più snaturandone completamente lo spirito informatore originario.

Già perché, negli anni “belli”, le politiche salviniane, ancora prima dei suoi metodi, sarebbero state considerate agli esatti antipodi di Forza Italia.

Nello “storico” video della discesa in campo (quello che ha compiuto 25 anni), il Cavaliere sognava un’Italia “dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita” contrapposta alla “piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna”.
Salvini sulla paura ha costruito gran parte del suo attuale successo.
In un paese che, inevitabilmente, vive con disagio e anche timore un fenomeno migratorio epocale che, seppur gestito con grande sciatteria, non presenta certo i caratteri dell’emergenza (i numeri sono in linea se non minori di quelli di altri paesi europei), ha creato, promosso e parossisticamente alimentato la mitologia dell’orda nera che minaccia i nostri confini. Portatrice di violenza belluina e predisposta allo stupro sistematico. Tutti i migranti sono clandestini. E tutti i clandestini sono delinquenti.
Sull’intolleranza ha, poi, forgiato il marchio di fabbrica di “tenente Callaghan dei poveri”.
Uno che, se un tizio muore durante un arresto forse un po’ troppo rude, sogghigna “mica gli si poteva offrire cappuccino e brioche”.
Sul totale disprezzo della vita umana ha, infine, fondato l’epopea dei “porti chiusi” per “smuovere l’Europa” e “impedire l’invasione”.
E chissenefrega se quelli si muoiono di freddo a poche miglia dalle nostre coste. Tutt’al più vengano rischiaffati nei lager Libici.
Ovviamente l’habitat preferito del capitano è proprio “la piazza urlante”.
Che alterna il giubilo per il suo campione, alle grida, alle invettive, alle condanne.

Insomma siamo al cospetto della summa di quanto, un quarto di secolo fa, aveva determinato la discesa in campo del cavaliere e, quindi, la nascita e la strutturazione di forza Italia.

Cosa ne sarà o potrà esserne di Forza Italia, risulta, al momento, piuttosto incerto. Di certo c’è, invece, che trasformarla in un qualcosina che và al traino di un tizio che incarna pressoché tutto quello che si proponeva di contrastare, sarebbe la fine più indegna per un partito che, nel bene e nel male, è stato protagonista di un’intera stagione politica.

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