Sull’immigrazione non basta l’Europa per disinnescare la propaganda del capitone.

Fa piuttosto ridere (se l’argomento si prestasse..) l’anatema salviniano circa gli accordi di Malta sull’immigrazione.
Secondo il capitone si tratterebbe di una “presa in giro” in quanto la redistribuzione riguarderebbe esclusivamente i migranti sbarcati dalle navi ong ovvero una minima percentuale di quelli che, con i mezzi nautici più vari, approdano sulle sponde lampedusane.
L’ex ministro degli interni, sul punto, fornisce una percentuale precisa: “solo il 10%”.
Per definire correttamente le caratteristiche della faccia con cui Salvini si spinge a fare questa affermazione bisognerebbe scomodare il celeberrimo titolo di “Cuore” di, ormai, una trentina di anni fa.
Ma come? Ci ha ammorbato per mesi con la strenua e implacabile lotta ai “nuovi trafficanti di uomini”, ha tenuto in mare, per settimane, interi equipaggi di “poveri disgraziati” stipati in coperta, ha tuonato contro la “zecca tedesca” come se fosse la nemica numero uno della sicurezza dei nostri confini invocandone l’immediata traduzione nelle patrie galere, ed ora, bello bello, ci viene a dire che quello delle ong è, sostanzialmente, un problema marginale?
Il tutto, peraltro, mentre sotto il suo pugno di ferro (quello che gonfiava il petto di orgoglio ai tanti italiani spaventati dall’invasore nero), gli sbarchi con mezzi propri hanno avuto, in modo del tutto indisturbato, quell’incremento che, ora, lo porta a indicarlo come l’insidia principale.
Sarebbe bello se ci fosse un limite all’impudenza anche nell’era della propaganda continua.

Ma Salvini è la prova vivente che non c’è.

Ciò detto gli accordi maltesi si ascrivono pienamente alla metafora del bicchiere a metà.
E’ evidente che non forniscono una soluzione dirimente a quello che era e resta un problema molto serio. Di certo non il primo problema dell’Italia come, viene contrabbandato dalla propaganda “sovranista”.
Ma comunque tra i più seri.
E, soprattutto, destinato a durare nel tempo.
Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno si tratta, comunque, di un primo passo verso il superamento di un trattato di Dublino che, stipulato nel 1990 e “revisionato” nel 2006 e 2013 senza modificarne l’architrave (lo stato d’approdo è responsabile per le richieste di asilo), mostra tutta la sua perniciosa obsolescenza.
Com’è noto la lega salviniana è tra i principali responsabili del fallimento dei tentativi di riforma della regola che sobbarca (è la parola..) i richiedenti asilo agli hub naturali del mediterraneo (Italia in primis ma anche Grecia e malta).
Ben 22 sono state le sedute dedicate al tema e deliberatamente disertate dagli europarlamentari del capitone.
Un comportamento apparentemente autolesionistico.
E, formalmente, assunto per non scontentare i sodali sovranisti di Viesegrad.
Il che rende la cosa ancora più assurda considerata la scarsissima solidarietà manifestata da quei governi verso l’Italia sui temi economici (per poi votare la Von der Leyen).
Personalmente ho sempre ritenuto, invece, che ci fosse un disegno ben preciso dietro l’ostruzionismo salviniano.
Leggendo quest’ultimo in combinato disposto con la sciatteria con cui sono stati gestiti gli sbarchi “no Ong” e l’indolenza nella politica dei rimpatri, non è difficile intravedere la reale finalità perseguita.

Che è quella, né più né meno, di lasciare il problema lì dove sta.

E la conferma di questa pervicace volontà di non intaccare l’essenziale strumento propagandistico dell’”emergenza invasione” viene dal cosiddetto decreto sicurezza 1.
Un autentico moltiplicatore di “clandestini” attraverso l’abolizione della “protezione umanitaria” e al forte ridimensionamento degli “sprar”.
Un atto insensato, ancora prima che disumano, visto che, dall’oggi al domani, ha buttato in mezzo alla strada una moltitudine di migranti relegandoli a una situazione di illegalità che ben difficilmente produrrà qualcosa di buono in termini di inclusione sociale e di sicurezza.
L’attuale governo, oltre che il dovere, ha l’interesse vitale di invertire realmente questa direzione di marcia, volta scientemente a lasciar incancrenire la situazione a uso e consumo della propaganda “social” della bestia oltre che dello “story telling” televisivo dei vari ed improbabili paladini della “gente che non ne può più”.

E la leva della collaborazione con l’Europa non è sufficiente.

Soprattutto sotto il profilo della “percezione”, il terreno di battaglia preferito dal capitone che è riuscito a far percepire un’emergenza sbarchi che non esisteva e un pericolo Ong che, oggi, lui stesso ci dice essere ben poca roba.

In tal senso è fondamentale lavorare sulla politica dei rimpatri.

Perché è molto ma molto più pericoloso (sia realmente che percettivamente) chi è qui, senza titolo, da un pezzo che chi ci è appena arrivato.
Le cronache recenti ci parlano di reati violenti commessi non da “risorse” fresche di sbarco.
Ma da soggetti che sono in Italia da anni, autentici collezionisti di “fogli di via” ovviamente mai rispettati.
Anche in questo caso la parabola salviniana è assolutamente esemplare.
Dopo aver straparlato, in campagna elettorale, di centinaia di migliaia di rimpatri di clandestini da realizzarsi entro il primo anno di governo, la primavera scorsa ha ineffabilmente dichiarato che, in realtà, le presenze irregolari sul territorio sono poco più di novantamila.
Dalla turba biblica brulicante nelle nostre strade a un numero risibile (l’equivalente di Sesto San Giovanni) in termini emergenziali.
Ma tant’è.

La priorità per l’attuale ministro degli interni è quella di stringere nuovi accordi con i paesi esportatori di migranti.

E di ampliare quelli già esistenti.
Un esempio su tutti: la Tunisia. Un numero importante degli sbarchi “fai da te” avvenuti negli ultimi mesi ha riguardato cittadini tunisini.
E una cosa è certa senza necessità di alcun tipo di accertamento che ne imponga la permanenza sul nostro suolo: non hanno nessun titolo per invocare qualsivoglia diritto d’asilo.
In quel paese non è in corso alcun conflitto, non ci sono minoranze perseguitate e vige un sistema democratico che vede, attualmente, in corso le elezioni per il rinnovo del parlamento e l’elezione del Presidente. Nonostante la destabilizzazione patita in seguito alla sciagurata “primavera” del 2011, ha uno degli standard più elevati del nord Africa per quanto riguarda i diritti civili. Sono, dunque, migranti economici a tutti gli effetti e, in quanto tali, irregolari.
Peraltro ad altissimo rischio di infiltrazioni terroristiche considerato che parliamo di uno dei maggiori produttori, suo malgrado, di foreign fighters dell’intero Maghreb.
Con la Tunisia abbiamo un accordo per i rimpatri. Ma è troppo restrittivo; al massimo 80 unità a settimana.
Orbene, sarà il caso che la Dott.ssa Lamorgese si rechi quanto prima a Tunisi (eviterei di mandarci Di Maio..) e lo rinegozi facendo si che quegli 80 diventino qualche centinaia.
Costi quello che costi; si tratterebbe, comunque, di risorse ben spese. Sarebbe un segnale molto forte.
Aiuterebbe assai a spazzare via oltre un anno di mistificatoria retorica “cattivista” poggiante, in realtà, su una furbesca assenza di reale contrasto alla clandestinità.

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