L’ipocrisia e le miserie dietro il “caso CSM”.

I toni scandalizzati che accompagnano le cronache del souck mediorientale svelato al C.S.M. suonano non poco ipocrite.

Si tratta, infatti, di un andazzo che va avanti da decenni. Certo non l’hanno inaugurato Palamara e Lotti.

Nella prima repubblica le nomine alle procure più importanti erano notoriamente (anche) frutto di intese con la politica.
Nessuno se ne faceva scandalo.
Ma, c’è da dire, allora i partiti erano forti.
E le trattative, sia pure riservate, seguivano un ordinato e ben preciso percorso che passava dalle direzioni e le segreterie.
Nonostante il raccontarle siano costate, a un mio congiunto, una condanna per diffamazione, le circostanze in cui, alla fine degli anni 80, fu eletto il celeberrimo capo di una celeberrima procura del nord Italia, sono note a tutti gli addetti ai lavori.
Era il risultato di un accordo intercorso tra DC e Psi. Che prevedeva che l’una esprimesse il Procuratore Generale e, l’altro, il Procuratore capo.
E’ storia, anche se il diretto interessato l’avrebbe sempre e fermamente negato difendendosi, poi, dietro l’agevole scudo delle querele.
Queste erano le regole non scritte della prima repubblica che nessuno esplicitava ma tutti rispettavano. Punto.

Poi, con la falsa rivoluzione del 92/93, la magistratura si erge a contropotere con mire egemoniche.

Dei partiti, che, sino al giorno prima, rappresentavano oltre il cinquanta per cento dell’elettorato non ne rimane in piedi nessuno e si apre la lunga stagione della “sponda” politica con l’allora PDS, cui le inchieste di “mani pulite” avrebbero dovuto aprire un autostrada a cinque corsie per il potere.
Sappiamo bene che a mettersi di mezzo arrivò il cavaliere e altrettanto bene conosciamo la guerra ultraventennale che ne seguirà.
In questa fase a predominare, tra le “correnti” della magistratura cui è affidata la lottizzazione del CSM, è quella di sinistra.
Un acronimo che, a lungo, farà correre brividi lungo la schiena a tanti, magistrati e non: MD.
Magistratura Democratica già nel nome, che riecheggia i ruggenti anni 70, rivela la sua matrice che è comunista nell’orientamento e stalinista nella metodologia.
E’, da sempre, la corrente più aggressiva. Risponde a una logica cupa, ferrigna, inflessibile.
O con lei o contro di lei.
Temutissima, muove i fili del potere nel CSM con spregiudicatezza ma, anche, con un rigore che ha del sacerdotale.
Stalinista, come si diceva.
Con tanto di purghe come l’inchiesta che, a metà dei 90, colpirà il “porto delle nebbie capitolino” distruggendo la carriera dell’allora capo dei GIP Squillante.
E, come in tutte le purghe, passerà sopra, come un carro armato, anche su qualche suo adepto rivelatosi troppo contiguo al “nemico del popolo”. Il Giudice Misiani, uno dei fondatori storici di MD rimasto invischiato e infine travolto dalla vicenda Squillante, ci scriverà un libro che, a distanza di oltre vent’anni, costituisce la più vivida e impressionante testimonianza delle logiche che presiedevano quell’area politico/culturale: “la toga rossa”.
Nel ventennio berlusconiano la sponda con il principale partito della sinistra (nelle denominazioni che andrà via via ad assumere) continua.
Ma in maniera progressivamente sempre meno organica.
Ormai la magistratura ha consolidato la sua primazia tra i poteri dello stato.
E’ naturale che giochi, sempre più, in assoluta ed autoreferenziale autonomia. E totalmente autoreferenziali diventano i maneggi con cui le varie correnti (andata riducendosi l’asfissiante egemonia di MD) si spartiscono procure, presidenze di Tribunali e Corti d’Appello, sezioni della Cassazione ecc.

Entrare nel dedalo correntizio è un esercizio di rara noiosità.

A partire dai nomi (Magistatura indipendente, unità per la costituzione) che, nella loro aulica vaghezza, non ci dicono pressoché nulla circa le pretese matrici culturali che dovrebbero qualificarle. E che, in realtà, sono totalmente ancillari a una sorda e carrieristica lotta per il potere.
La guerra dei vent’anni, in qualche nodo, copre l’evidente degenerazione in corso.
Chi sta con il cavaliere ritiene i magistrati dei mezzi delinquenti e non ne vuole sapere. Chi sta contro, li ritiene l’armata del bene e non ne vuole sapere idem. Il gorgo prodotto dal progressivo inabissarsi delle fortune del Berlusconi politico trascina con sé questa copertura.
Le procure, poi, hanno da tempo cominciato a colpire duro anche il PD.
Quello che era un conflitto dichiarato tra due schieramenti diventa una guerriglia pulviscolare.
Dietro alla quale, quasi sempre, fanno capolino micro conflitti interni, spesso esclusivamente funzionali a questioni di carriera che intrecciano anche aspetti più squisitamente narcisistici (De Magistris, Woodcock, Ingroia ecc.).

Siamo arrivati all’oggi.

La contrapposizione PD/FI è roba da libri di storia. Si è passati dalla “solidarietà nazionale” contro lo spread (Governo Monti) alla “grosse coalition” antigrillina (Letta, Renzi Gentiloni) per arrivare, infine, al pernicioso e circense “governo del cambiamento”.
Un cambio di stagione radicale.
Ma con uno sbocco assolutamente incerto, instabile e contraddittorio.
La famosa fase in cui, citando Gramsci, “il vecchio muore, il nuovo stenta a nascere e, nel frattempo, si sviluppano le patologie più varie”.
Era abbastanza naturale che, in un quadro del genere, dovesse deflagrare il “caso nomine” recante il volto del Dott. Palamara già, a suo tempo, magistralmente “pittato” dal Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.

Decenni di autoreferenzialità hanno prodotto un degrado profondo.

In cui sono andate allignando tutte le vergogne e le miserie tipiche delle conventicole di potere chiuse in se stesse.
Il tutto mentre sul soglio del dicastero di Grazie (poca) e Giustizia (ancora meno) siede il più improbabile Ministro che la storia repubblicana rammenti.
Un lieto fine vorrebbe che lo scossone portasse a quella riforma che, da anni, auspica un intero mondo giuridico fuor di fazione.
Un CSM per i giudicanti e uno per PM e PG, tanto per cominciare.
E un criterio di selezione affidato al sorteggio tra i più titolati. Ma, in Italia, difficilmente gli scossoni portano a qualcosa di buono.

Tuttavia la speranza è l’ultima a morire.

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